martedì 13 maggio 2014

Preveggenze




"Le nostre belle arti sono state istituite - e i loro caratteri e il loro uso fissati - in un tempo molto diverso dal nostro, da uomini il cui potere d’azione sulle cose era insignificante in confronto a quello che possediamo noi. Ma il sorprendente sviluppo dei nostri mezzi, la duttilità e la precisione che hanno raggiunto, le idee e le abitudini che hanno introdotto ci garantiscono cambiamenti imminenti e assai profondi nell’antica industria del bello. Vi è in tutte le arti una parte fisica che non può più essere considerata e trattata come si è fatto finora, che non può prescindere dalle realizzazioni della conoscenza e delle capacità moderne. Né la materia, né lo spazio, né il tempo sono da vent’anni ciò che erano sempre stati. Bisogna aspettarsi che novità così grandi trasformino completamente la tecnica delle arti, agiscano con essa sulla stessa invenzione, giungano forse a modificare meravigliosamente anche la nozione di arte.  
 Sicuramente saranno dapprima solo la riproduzione e la trasmissione delle opere a vedersi coinvolte. Saremo in grado di trasportare o ricostituire in qualsiasi luogo il sistema di sensazioni, - o più esattamente, il sistema di eccitazioni, - che emana in un luogo qualunque un oggetto o un avvenimento qualunque. Le opere acquisteranno una sorta di ubiquità. La loro presenza immediata o la loro restituzione a qualsiasi epoca obbediranno al nostro richiamo. Non esisteranno più solo in se stesse, ma ovunque ci sarà qualcuno, e qualche strumento. Saranno solo una sorta di fonti o di origini, e i loro benefici si troveranno o si ritroveranno interi dove si vorrà. Come l’acqua, il gas, la corrente elettrica giungono da lontano nelle nostre case per rispondere ai nostri bisogni con uno sforzo quasi nullo, così saremo alimentati da immagini visive o uditive, che appariranno e spariranno al minimo gesto, quasi a un cenno. Come siamo abituati, se non assoggettati, a ricevere nelle nostre case l’energia in forme diverse, così troveremo assai semplice ottenere o ricevere quelle variazioni o oscillazioni rapidissime con cui gli organi dei nostri sensi, che le percepiscono e le integrano, fanno tutto ciò che sappiamo. Non so se un filosofo abbia mai sognato una società per la distribuzione della realtà sensibile a domicilio.      

 La musica, tra tutte le arti, è la più vicina a essere trasmessa in maniera moderna. La sua natura e il posto che occupa nel mondo la designano a essere modificata per prima nelle sue forme di distribuzione, di riproduzione e anche di produzione. Essa è, tra tutte le arti, la più richiesta, la più inserita nella realtà sociale, la più vicina alla vita, di cui anima, accompagna o imita il funzionamento organico. Che si tratti dell’andamento o della parola, dell’attesa o dell’azione, della regola o delle sorprese della nostra durata, essa sa carpirne, combinarne, trasfigurarne gli aspetti e i valori sensibili. Tesse per noi un tempo di vita posticcia, sfiorando gli aspetti di quella vera. Ci abituiamo, ci affidiamo a lei con delizia come alle sostanze giuste, potenti e sottili che vantava Thomas de Quincey. Poiché essa se la prende direttamente con la meccanica affettiva di cui si serve e che manovra a suo piacere, è per sua natura universale; affascina, fa danzare su tutta la terra. Come la scienza, diventa bisogno e derrata internazionale. Questa circostanza, unita ai recenti progressi nei mezzi di trasmissione, poneva due problemi tecnici:       

I.    Fare ascoltare in un punto qualunque del globo, nello stesso istante, un’opera musicale eseguita non importa dove.  
II.    In un punto qualunque del globo, in qualsiasi momento, riprodurre a volontà un’opera musicale.       

Questi problemi sono stati risolti. Le soluzioni si fanno ogni giorno più perfette.    Siamo ancora abbastanza lontani dall’aver addomesticato così i fenomeni visibili. Il colore e il rilievo sono ancora piuttosto ribelli. Un sole che tramonta sul Pacifico, un Tiziano che si trova a Madrid non possono ancora essere dipinti sul muro della nostra camera con la forza e l’illusione con cui riceviamo una sinfonia.  
Questo si farà. Forse faranno ancora meglio, e sapranno farci vedere qualcosa di ciò che è in fondo al mare. Ma per quanto riguarda l’universo dell’udito, i suoni, i rumori, le voci, i timbri ormai ci appartengono. Possiamo evocarli quando e dove vogliamo. Poco tempo fa non ci era possibile godere della musica quando e come volevamo. Il nostro godimento doveva adeguarsi a un’occasione, a un luogo, a una data e a un programma. Quante coincidenze erano necessarie! Adesso invece ci siamo liberati da una schiavitù così contraria al piacere, e perciò così contraria alla più squisita intelligenza delle opere. Poter scegliere il momento di un godimento, poterlo gustare quando non solo è desiderato dallo spirito, ma anche preteso e quasi già prefigurato dall’anima e dall’essere, equivale a offrire le maggiori possibilità alle intenzioni del compositore, perché significa permettere alle sue creature di rivivere in un ambiente vivo ben poco diverso da quello della loro creazione. Il lavoro dell’artista musicista, autore o virtuoso, trova nella musica registrata la condizione essenziale di un rendimento estetico altissimo.       

Mi viene ora in mente uno spettacolo di fantasia che ho visto da bambino in un teatro straniero. O che credo di aver visto. Nel palazzo del mago, i mobili parlavano, cantavano, sottraevano all’azione una parte poetica e canzonatoria. Una porta che si apriva suonava una fanfara esile o pomposa. Non ci si poteva sedere su un pouf senza che quello, schiacciato, non gemesse qualche parolina gentile. Ogni cosa, appena sfiorata, emanava una melodia.    Spero bene che non si arriverà a questi eccessi di magia sonora. Già non si può più mangiare o bere in un caffè senza essere disturbati da concerti. Ma sarà meravigliosamente dolce poter trasformare a piacere un’ora vuota, una serata interminabile, una domenica che non finisce mai, in malie, in tenerezze, in moti interiori dello spirito. Ci sono giornate tetre; persone molto sole, e manca solo che l’età o l’infermità le costringano in se stesse perché ne soffrano anche troppo. Questi vani e tristi lunghi momenti, e questi esseri votati agli sbadigli e ai pensieri tristi, eccoli ora in grado di dare ornamento o passione al loro vuoto.       

Tali sono i primi frutti che ci propone la nuova intimità della musica con la fisica, la cui immemorabile alleanza già tanto ci aveva dato. Se ne vedranno ben altri".

Tratto da: Paul Valéry, Scritti sull’arte (1934), Tea, Milano 1984, pp. 107-109.

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