mercoledì 23 maggio 2018

Morire come gli stronzi



Claudio Caligari ha sempre concepito il cinema come un qualcosa che fosse per natura contenutisticamente documentaristico. Lo si comprende con semplicità attraverso la visione di alcune delle sue primissime opere (appunto, documentari duri e puri), ma ce ne rendiamo conto in maniera ancora più evidente - forse perché lo è in modo un poco traslato - guardando il suo primo lungometraggio, quell’Amore Tossico (1983) che da tempo è ormai ufficialmente riconosciuto come uno dei film cult della storia del cinema italiano. Si nota infatti come questo lavoro, a prescindere dalla sua natura fittizia, sia stato concepito secondo una necessità di informare lo spettatore su un argomento di scottante attualità come il problema della droga nelle borgate romane, e anche se certi bizzarri personaggi-maschera prendono a tratti il sopravvento, o si impongono - come una sorta di interferenza - attraverso la loro capacità di rendersi fortemente astratti e simbolici, il bisogno di documentare rimane tuttavia la priorità. Insomma, il cinema per Caligari è un medium che ha sempre e comunque avuto il dovere di comunicare qualcosa che ha a che fare con un racconto di problematicità legate alla quotidianità di una specifica classe sociale. Entrare in contatto con aspetti estremi della vita e con la loro essenza è stato dunque per il regista aronese una sorta di comandamento da rispettare quasi dogmaticamente. Ma la particolarità del suo cinema non si esaurisce solo in questo aspetto: la capacità infatti di saper trasfigurare il lato realistico delle cose, la sapienza nel riuscire a trascinarlo in una sorta di limbo dove il grottesco diviene una qualità e non un difetto (e qui entra in ballo il grande insegnamento del cinema di Pasolini) è l’altro grande dono che è stato in grado di farci. Sempre in Amore Tossico lo si evince dalle “splendide” sequenze dedicate ai momenti in cui i tossici protagonisti si fanno di eroina: in un mix di leggero e malsano, di ironia, comicità e angoscia, si configura perfettamente la zona in cui l’espressività della sua macchina emozionale solitamente si aziona.


Ma Caligari è uno tosto, non può fermarsi qui: pensa che il suo bagaglio stilistico possa riuscire a contenere molto altro ancora. Negli anni successivi lavora ad alcune sceneggiature per diversi film che, per un motivo o per un altro, non riesce tuttavia a realizzare. Ecco però che dopo quindici anni il ritorno alla regia avviene con un noir molto particolare: un film che cerca di riflettere sui residui delle “lotte di classe” e sull’odio quasi stereotipato per un mondo borghese che ormai non riesce più ad avere così precise categorizzazioni e netti confini. Formalmente affascinante, L’odore della notte (1998) è un’opera che cerca anche di fare il punto della situazione su quelle che sono state le figure chiave del noir di quegli ultimi anni: citazioni dai film di Scorsese e dai film di Tarantino - ma anche dal polar tra i Sessanta e i Settanta - sono un modo per riprendere il discorso sulla messa in scena in chiave postmoderna, dimostrando che anche il cinema italiano è in grado di metabolizzare e metamorfizzare le forme tipiche del cinema di genere.
Dopo L’odore della notte, di nuovo e sfortunatamente un vuoto sostanzioso di ben diciassette anni in cui purtroppo si ammala, ma trascorsi i quali ha la forza di girare un ultimo film: il suo capolavoro. A febbraio del 2015, inizia infatti le riprese di Non essere cattivo, scritto assieme a Francesca Serafini e Giordano Meacci. Girato a Ostia, è una sorta di protesi concettuale e fisica di Amore tossico: una vicenda che di nuovo racconta la borgata, i suoi protagonisti, le sue tristi sfide alla vita e le sue malinconiche e melanconiche prese di posizione. Un film che parla soprattutto di amicizia e lo fa con una schiettezza e una naturalezza uniche, raccontando le storie di due giovani uomini profondamente legati dalla necessità di dover sopravvivere in un mondo che non è quello che si sarebbero aspettati. Un’opera unica nel suo genere perché congela la lezione post-neorealista facendola sciogliere sotto il sole di un nuovo modo di entrare in contatto con la storia sociale italiana.
A Valerio Mastandrea, suo amico e produttore di Non essere cattivo, circa un anno prima dell’inizio della lavorazione, Caligari disse: “Muoio come uno stronzo. E ho fatto solo due film”. Pace all’anima tua, Claudio, di film ora ne hai fatti ben tre e con buonissima probabilità sarà molto dura dimenticarci di ognuno di questi.

Pubblicato per la prima volta sul Catalogo del 35° Premio Sergio Amidei, 2016.