venerdì 18 ottobre 2019

Leggere le immagini #28 - La furia delle immagini


"La seconda rivoluzione digitale, caratterizzata dalla preminenza di Internet, dei social network e della telefonia mobile, e la società ipermoderna, segnata dall’asfissia del consumo, ci hanno catapultati in un’epoca postfotografica, nella quale abitiamo l’immagine nella stessa misura in cui essa ci abita. La postfotografia ci mette di fronte alla sfida della gestione sociale e politica di questa nuova realtà frutto di un’onnipresente iconosfera. Le immagini circolano in rete a folle velocità, non sono piú presenze inerti, e la loro incessante energia cinetica le rende attive, furiose, pericolose… La postfotografia diventa cosí un contesto di pensiero visivo che certifica la smaterializzazione delle immagini e dei loro autori, dissolvendo le nozioni di originalità e proprietà, di verità e memoria".

sabato 13 aprile 2019

Onde di carta #2 - Tra sarcasmo e poesia


Se c’è un nome nella storia dell’animazione italiana che va assolutamente ricordato, ogni volta che anche solo si sfiori questo argomento, è senza il minimo dubbio quello di Bruno Bozzetto. Il suo talento sopraffino nel saper creare sempre un’intensa sintonia tra il tratto tipico del suo disegno e l’ironia pungente caratteristica dei suoi discorsi – spesso incentrati sull’alienazione dell’uomo e del suo traumatico rapporto con la società – è ciò che lo ha reso celebre.
Allegro non troppo, lungometraggio del 1976, che ricalca la struttura del celebre Fantasia di Walt Disney, ne è uno degli esempi più sopraffini. Suddiviso in sei episodi d’animazione, con intermezzi dal vero, è un film che punta tutto sullo scarto tra poesia e umorismo graffiante. Ogni episodio è infatti sempre sospeso tra la ricerca di un lirismo puro e un sarcasmo insinuante: pensiamo alla contrapposizione, nel primo episodio, tra il fauno e la donna-paesaggio sopra la quale vaga; oppure al terzo episodio nel quale, dal liquido rimasto in una bottiglia di coca-cola, comincia un viaggio evolutivo accompagnato dal Bolero di Ravel, che termina arcignamente sulla figura di un essere umano dominatore di ogni specie, e che scopriamo essere nient’altro che una scimmia. È come se i disegni animati di Bozzetto ci accarezzassero ogni volta con un guanto vellutato, indossato da una mano dolce e gentile che però appartiene a qualcuno il cui sogghigno, anche quando è impercettibile, non smette mai di esserci. Un’altra delle qualità maggiori dell’opera è che il girato dal vero non risulta in nessun modo formalmente antitetico rispetto a quello animato. Maurizio Nichetti, disegnatore il cui compito è quello di riuscire a creare sui vari temi musicali ogni volta “qualcosa di divertente”, è esso stesso un cartone animato: i suoi gesti, le sue movenze, il suo atteggiamento ne fanno una macchietta dall’imprevedibilità costante. Quello di Bozzetto è quindi un modo di fare animazione consapevole del fatto che il disegno possa celare già molto contenuto nella sua superficie (nella sua disposizione all’interno dello spazio che lo contiene) e che lo stupore che un’immagine animata può suscitare non dipenda necessariamente dalla quantità delle sue forme ma bensì dal modo nel quale le si caratterizza. Insomma, non si può che concordare con ciò che ha scritto Gianni Rondolino nella sua Storia del cinema d’animazione e cioè che i film di Bozzetto sono tra i risultati più significativi e originali non soltanto dell’animazione italiana, ma di quella mondiale degli anni Sessanta e Settanta.

sabato 16 marzo 2019

Leggere le immagini #27 - Grammatica delle immagini

 

"Grammatica delle immagini insegna a padroneggiare le regole e gli strumenti utili a comporre immagini efficaci a livello comunicativo. In un mondo in cui il racconto per immagini rappresenta la forma di comunicazione predominante, conoscere la grammatica del linguaggio visivo permette di realizzare narrazioni coinvolgenti e allo stesso tempo di imparare a decifrare con maggiore consapevolezza tutto quello che visualizziamo attraverso uno schermo. Ma quest'opera fa di più. Block infatti focalizza la sua attenzione su un particolare tipo di immagine, quella in movimento, evidenziando come la struttura visiva di ogni fotogramma o videogramma sia intrinsecamente legata alla struttura di un film, di un video, di un cartone animato o di un videogioco. Si imparerà così come strutturare il visuale con la stessa cura con cui uno scrittore struttura una storia o un compositore la sua musica. Grammatica delle immagini unisce in maniera fluida teoria e pratica, mettendo alla base della trattazione questi due aspetti - necessari ad ogni professionista - con l'ausilio di moltissimi esempi tratti da film. Il libro si rivolge a tutti coloro che studiano comunicazione per immagini e in particolar modo agli studenti di audiovisivo, grafica e comunicazione. Il secondo volume si apre con un'analisi delle componenti connesse al movimento e al ritmo. Passa poi ad analizzare la struttura visiva in relazione alla storia che si vuole raccontare e si chiude offrendo esempi pratici della gestione di tutti gli elementi visivi implicati nella realizzazione, di film, documentari, spot pubblicitari, programmi televisivi, videogiochi e cartoni animati".

mercoledì 20 febbraio 2019

Alla mercé dello sguardo maschile

Olympia (1863)

Sulla sovversione dell'identità e sul discorso che ruota attorno al genere, una delle osservazioni più chiare e semplici da comprendere credo l'abbia espressa John Berger nel 1972. Il critico sosteneva infatti che "nella forma artistica del nudo europeo i pittori e gli spettatori-proprietari erano di solito uomini, mentre le persone trattate da oggetti erano per lo più donne. Questa disparità è profondamente radicata nella nostra cultura da strutturare ancor oggi la coscienza di molte donne. Esse fanno a se stesse ciò che gli uomini fanno loro. Sorvegliano la propria femminilità, esattamente come fanno gli uomini".
Nell'arte contemporanea la categoria del nudo è quasi scomparsa, o quantomeno è stata messa all'angolo da un modo differente di concepire la figura della donna. Punto di svolta è stata senza ombra di dubbio l'Olympia di Manet in cui la figura principale sembra contestare il ruolo che le è stato imposto (quello di corpo inerme alla mercé dello sguardo maschile).
Se l'arte ha compreso determinate questioni, il mondo della comunicazione e quello del quotidiano - fatto soprattutto dagli sguardi dell'"uomo della strada" - sembrano proseguire sempre nella stessa e stantia direzione. Sarà scontato, ma il ritorno del represso è una funzione essenziale per la liberazione di alcuni elementi censurati da una repressione ideologico-politica e quindi credo sia sempre più necessario farlo emergere dal contenuto del prodotto artistico (mentre ultimamente mi pare che l'analisi delle immagini, da questo punto di vista, sia sempre più sacrificata in nome del "sacro" soggettivismo del "mi piace/non mi piace"). Perché l'arte, alla fine, dice sempre la verità.
La morale? È che dovremmo (re)imparare a osservare in profondità e sarebbe bene iniziare a farlo in fretta, altrimenti va a finire che - come sosteneva il maestro Antonio Rezza - "qua, amico mio, nun ritrovamo proprio un cazzo".

Venere di Urbino (1538)

mercoledì 23 gennaio 2019

Leggere le immagini #26 - Ritratti


"John Berger non sopportava di essere definito un critico d'arte. Lo riteneva un insulto. Eppure per tutta la vita ha continuato a descrivere i suoi incontri con l'arte, le epifanie di fronte a un dipinto o una scultura, i viaggi immaginari negli atelier in cui un'opera veniva pensata e realizzata. Poco importava che quegli incontri assumessero le sembianze di un romanzo, una poesia o un saggio; non si trattava di critica, ma di narrazione nel senso più antico del termine: una voce che racconta ciò che gli occhi hanno visto e le mani toccato, un ascoltatore che riceve in dono un'esperienza e uno sguardo, e infine uno spazio da condividere.
Se non è critica, questo volume non è neppure un canone o una storia dell'Arte - anche se prende avvio dalle pitture rupestri e termina oltre Basquiat -, perché per John Berger tutti gli artisti ospitati nella sua scrittura sono ancora vivi e presenti: sono vivi gli ignoti pittori della Cueva de las Manos, che migliaia di anni fa portano nel profondo della terra il vento, il tuono, il dolore e i luoghi remoti; è vivo Rembrandt, per cui l'abbraccio è sinonimo di pittura; è viva Frida Kahlo, che dipinge con la sua stessa pelle; è vivo Matisse, mentre fa cozzare i suoi colori come cembali di una ninna nanna; ed è vivo Picasso, che dipinge sulla tela una bestemmia. Ritratti è la raccolta più completa degli incontri di John Berger con i suoi artisti: dai pugnaci scritti militanti degli anni cinquanta a quelli più recenti e pensosi, molti dei quali inediti in Italia. Del resto, che per Berger un ritratto fosse un incontro, lo ha chiarito nel descrivere un suo stesso disegno: «A poco a poco la testa sulla carta si è fatta più simile alla sua. Ma ora sapevo che non le si sarebbe mai avvicinata abbastanza, perché, come può capitare quando si disegna, avevo finito per amarla, per amare tutto di lei». Gli ottantotto ritratti di questo libro sono atti d'amore scritti con la stessa matita con cui era solito disegnare: ottantotto incontri fatti di approcci, cancellature e successivi ripensamenti, di colpi di fulmine immediati e laboriose riconciliazioni. Sono l'«inconsapevole diario di bordo» di un grande storyteller, l'autobiografia di un uomo attraverso ciò che ha osservato".

mercoledì 16 gennaio 2019

Leggere le immagini #25 - La spada del destino


"I samurai sono parte del nostro immaginario. A forgiarne l’immagine hanno contribuito soprattutto una manciata di film, a partire dal classico di Kurosawa I sette samurai (1954). I film storici sono stati il paradigma dominante del cinema giapponese dagli anni Venti fino alla fine degli anni Sessanta del Novecento. In seguito il loro ascendente è calato, fino quasi a eclissarsi, per tornare alla ribalta solo sul finire degli anni Novanta. Questi film sono stati e rimangono una fucina di innovazioni tecniche e narrative, oltre che un’inesauribile fonte di storie e personaggi memorabili. Per comprendere le sfumature del complesso sistema simbolico di rappresentazione della classe dei guerrieri del Giappone feudale è necessario avventurarsi oltre i pochi film noti in Occidente.
Il libro non guarda solo ad autori conosciuti come Kurosawa Akira e Mizoguchi Kenji, ma anche alle opere di registi innovativi come Ito Daisuke, Yamanaka Sadao, Kobayashi Masaki, Gosha Hideo e tanti altri. L’analisi fa emergere come l’ambientazione storica sia spesso una metafora dei problemi e delle istanze del periodo in cui sono stati girati i film.
Il volume presenta per la prima volta in Italia in modo organico e approfondito oltre cento anni di cinema storico giapponese, dai funambolici film muti d’avventura degli anni Dieci fino alle vibranti riflessioni filosofiche del nuovo millennio.
Si tratta di un repertorio di storie e pratiche di messa in scena dirompente, che passa dalle commedie scanzonate alle tragedie più cupe, da battaglie epiche a duelli leggendari, fino a storie d’amore contrastate e cronache di ribellioni spesso finite nel sangue. Un viaggio appassionante e sorprendente alla scoperta dello straordinario archivio visivo e culturale dei film storici giapponesi".